VIA LIBERA ALL’ACCORDO USA-PACIFICO

Il grande accordo di libero commercio della regione del Pacifico, la Trans Pacific Partnership, è realtà; gli Stati Uniti e gli altri undici paesi impegnati nelle trattative, a cominciare dal Giappone, hanno sottoscritto un’intesa che abbatte barriere su mercati che rappresentano il 40% del Pil mondiale.

Un significativo risultato economico e politico, fortemente voluto dal presidente americano Barack Obama: rappresenta una potenziale iniezione di fiducia mentre l’economia mondiale dà segni di malessere ed è un patto strategico che argina la crescente influenza della Cina, fuori dall’ intesa, premendo perché acceleri il suo cammino verso trasparenza e free market.

L’accordo è stato sottoscritto attorno ad alcuni capisaldi: riduce progressivamemnte migliaia di dazi e barriere all’interscambio. Liberalizza i mercati agroalimentari, in particolare di Canada e Giappone che hanno accettato una riduzione delle barriere all’ingresso dei derivati del latte esteri. Rende comunque uniformi e più severe le norme sui brevetti a vantaggio sia di società farmaceutiche che tecnologiche e di Tlc. Apre le froniere di Internet. Ancor più, dal punto di vista strategico, forgia un’alleanza per dialogare con forza con la Cina, esclusa dal negoziato e impegnata a creare un proprio patto economico asiatico. Tra i Paesi del Tpp voluto dagli americani oggi so contano, oltre ai già menzionati Canada, Giappone e Australia, anche Perù, Cile, Nuova Zelanda, Messico, e numerose nazioni del Sudest asiatico dalla Malesia al Vietnam e Singapore.

L’accordo del Pacifico, ha fatto sapere la Casa Bianca, «sosterrà l’export del made in America e la creazione di posti di lavoro qualificati». Eliminando «oltre 18.000 tasse – sotto forma di tariffe – sul made in Usa rende i nostri agricoltori , allevatori, aziende manifatturiere e piccole imprese in grado di competer e vincere in mercati ad alta crescita». In dettaglio, hanno sottolineato gli americani, cancella tariffe che arrivavano al 70% nell’auto, al 59% sui macchinari e al 40% su pollame e frutta e al 35% sulla soia, oltre a migiorare l’accesso nei servizi e a garantire il rispetto di standard sulle condizioni di lavoro previsti dall’Ilo.

Il Tpp, forte di simili promesse che ora dovrà mantenere, è diventato così una cruciale seppure sofferta vittoria per Obama, che ne aveva fatto una priorità del suo secondo mandato alla Casa Bianca sfidando l’opposizione di numerosi esponenti del suo partito democratico e i sindacati. Una battaglia politica che non è affatto finita: dovrà ottenere nei prossimi mesi l’approvazione dell’intesa da parte del Congresso che si prepara ad un anno elettorale. Anche tra le aziende non manca l’opposizione: Ford ha chiesto ieri di non approvare il TPP nell’attuale forma. Ma l’accordo adesso c’è e, se Obama avrà ragione, potrebbe sopravvivere alle manovre parlamentari. A quel punto l’attenzione, oltretutto, potrà essere rivolta all’altro grande progetto di accordo commerciale e strategico: il patto transatlantico con l’Europa, la Transatlantic Trade and Investment Partnership.