IN PROGRAMMA LA CONTROMOSSA CINESE ALL’ACCORDO DI LIBERO SCAMBIO TRA USA E PACIFICO

Quando il 5 ottobre i media internazionali hanno annunciato il varo della Trans-Pacific Partnership (Tpp) ad Atlanta, il ministero del Commercio di Pechino pubblica un comunicato con cui definisce l’intesa “uno dei principali accordi di libero scambio per la regione dell’Asia-Pacifico”, aggiungendo che “la Cina è aperta a qualsiasi meccanismo che segua le regole dellOrganizzazione mondiale del commercio e possa aumentare l’integrazione economica nell’area”. Segno che la Cina si aspetta, prima o poi, di essere tirata dentro al patto tra i 12 Paesi che in totale rappresentano il 40% dell’economia mondiale.

Il problema è che l’accordo Tpp nasce come antifunzione cinese, e la Cina non è ben voluta all’interno del trattato.

All’Apec di Pechino del 2014, tuttavia,  la Cina aveva risposto con la proposta di un’area di libero scambio più inclusiva, che comprendesse anche se stessa e la Russia, incassando il sì di tutti, tranne gli Stati Uniti. Ma da allora non se ne è più sentito parlare. Pechino si è poi sempre più focalizzata sul progetto di “Via della Seta, con la neonata Banca asiatica degli Investimenti e delle Infrastrutture a fare da volano economico. Un istituto finanziario in cui, non ci sono Stati Uniti e Giappone, ma per scelta loro non per ostracismo cinese.

Al netto degli iniziali convenevoli diplomatici, la Cina starebbe ora preparando le contromosse al Tpp in grado di cambiare il contesto economico in Asia-Pacifico. A Pechino e dintorni è infatti opinione piuttosto diffusa che gli Stati Uniti stiano cercando di contenere l’ascesa cinese sia dal punto di vista politico sia da quello economico, laddove i due aspetti si compenetrano totalmente.

Eliminando circa 18mila tariffe doganali, il Tpp rischia di spostare nuovamente la catena delle forniture attraverso la più vasta area economica del mondo. La Cina, già afflitta dal rallentamento della sua economia, teme di vedersi strappare troppo presto il ruolo di fabbrica del mondo e di perdere competitività . Così le autorità cinesi spingeranno sempre più sui trattati bilaterali di libero scambio con singoli Paesi. Una strategia tradizionale per la Cina, che nei suoi accordi “uno-a-uno” cerca anche di emanciparsi dal dollaro.

Ci sarebbe poi in programma un accordo trilaterale di libero scambio con Giappone e Corea del Sud.

Infine, Pechino cerca di accelerare il cosiddetto Partenariato economico globale regionale (Rcep), i cui negoziati dovrebbero fare progressi durante un summit in Corea del Sud, previsto dal 12 al 16 ottobre. Ne sono coinvolti i 10 membri dell’ Asean più Australia, India, Giappone, Corea del Sud, Nuova Zelanda

In un recente articolo, Yukon Huang, ex direttore della Banca Mondiale per la Cina, ha azzardato che Pechino, per ottenere il duplice scopo di internazionalizzare la propria moneta e non attirare instabilità economica, potrebbe fare dello yuan una “valuta regionale” che gradualmente si sgancerà dal dollaro senza rischiare una volatilità internazionale.

Niente accordi eccessivamente estesi nello spazio – niente Ttp made in China – ma proprio una strategia a cerchi concentrici e una moneta cinese che, al pari del commercio, si protende all’esterno con gradualità, fino a costituire un nuovo sistema di Stati tributari, riaggiornato al ventunesimo secolo.

Forse, le felicitazioni rivolte agli Stati Uniti per il Tpp non sono in fondo un masticare amaro ma un mandare avanti gli altri mentre si procede a piccoli passi.