La fine delle sanzioni all’Iran

La fine delle sanzioni economiche europee e la (parziale) sospensione di quelle americane consentiranno all’Iran di migliorare la propria situazione economica. La Repubblica Islamica nei prossimi mesi tornerà ad esportare petrolio e potrà accedere nuovamente al credito e all’expertise occidentale. Eppure, a dispetto dei timori di sauditi, israeliani e repubblicani statunitensi, Teheran non riuscirà a dominare il Medio Oriente.

La scorsa settimana l’Agenzia internazionale per l’energia atomica (Aiea) ha documentato che la Repubblica Islamica ha ridotto a 300 chilogrammi la quantità di uranio arricchito presente nel paese, diminuito il numero delle sue centrifughe e disabilitato il reattore nucleare di Arak. Una certificazione che lunedì ha indotto Unione Europea e Stati Uniti a rivedere la propria legislazione in materia. In particolare Bruxelles ha rimosso l’embargo sull’importazione del petrolio persiano e ora permette alle banche iraniane di operare con quelle europee e alle multinazionali di investire in loco. La Casa Bianca ha invece sospeso le cosiddette sanzioni secondarie, ovvero quelle che proibiscono a qualsiasi azienda straniera di fare affari con la Repubblica Islamica. Mentre restano in vigore le misure incentrate sull’Iran Sanctions Act che il Congresso, a maggioranza repubblicana, è contrario ad annullare.

Nelle prossime settimane Teheran riceverà circa 50 miliardi di dollari in asset congelati sparsi per il mondo (altri 50 miliardi saranno spesi in debiti pregressi) e potrà esportare greggio soprattutto verso le nazioni europee (Francia, Spagna, Germania, Italia su tutte), nonché verso Cina e India. Quindi l’ingresso di nuovi investitori aumenterà la produttività del paese e ne rilancerà interi settori prostrati dall’isolamento. Tuttavia, benché alcuni analisti sostengano che l’infusione di valuta straniera imprimerà una svolta decisiva alla politica estera iraniana, nei prossimi anni la Repubblica Islamica non riuscirà a trasformarsi nell’egemone mediorientale. Anzitutto, effetto diretto dell’aumento della produzione voluto dall’Arabia Saudita e dalle altre monarchie del Golfo proprio in funzione anti-persiana, il crollo del prezzo del petrolio ridurrà i benefici connessi al reinserimento nel mercato globale. Solo per raggiungere il pareggio di bilancio Teheran avrebbe bisogno di una quotazione del barile intorno ai 100 dollari, contro gli attuali 30 dollari. Peraltro la stessa collocazione sul mercato del greggio iraniano, unita al rallentamento della crescita cinese e all’anemica ripresa europea, determinerà probabilmente un ulteriore ribasso. Inoltre, anche se avesse accesso ad ingenti risorse finanziarie, la Repubblica Islamica è troppo impegnata a difendere la propria sfera di influenza per passare all’offensiva. In difficoltà in Siria e in Iraq, in questa fase non avrebbe la capacità militare per lanciarsi in nuove avventure ed esporsi ad altri attacchi del fronte sunnita. Infine, come dimostrato dalle sanzioni appena applicate al programma balistico di Teheran, gli Stati Uniti non hanno alcuna intenzione di lasciare campo libero alla Repubblica Islamica.

Nei prossimi mesi Washington continuerà ad intervenire per sostenere ciclicamente la potenza mediorientale maggiormente in difficoltà e colpire invece quella in auge. Un proposito cui si aggiungono le manovre di Turchia, Arabia Saudita e Israele che, altrettanto contrarie ad un espansione dell’azione iraniana, nel medio periodo inibiranno le più audaci ambizioni degli ayatollah. E manterranno il Medio Oriente in bilico.

 

Il 2016 è l’anno del Giappone

Nel 1866 venne stipulato il “trattato di amicizia e commercio” tra il Giappone e l’Italia.

Cinque anni prima, nel 1861, il nostro Paese festeggiava l’Unità,  due anni dopo, nel 1868, Tokio diventava capitale; nel 1870 lo diventava anche Roma. Poi una guerra  mondiale, la prima, nel 1914, e, nel 1920, il primo volo Roma-Tokio voluto e sperimentato dai due aviatori Arturo Ferrarin e Guido Masiero: un raid ispirato niente di meno che da D’Annunzio, era l’Eurasia, non si immaginavano ancora neanche lontanamente i Paesi Brics (Brasile, Russia, India, Cina, Sudafrica). Nel 1930 ci fu la prima esposizione d’arte giapponese al Palazzo delle Esposizioni di Roma e, da allora, mostre e scambi culturali si sono susseguiti senza mai fermarsi.

Nel 2016, si festeggia il centocinquantesimo anniversario della firma del trattato di amicizia, con un programma di eventi, appuntamenti artistici, concerti, che mirano a dimostrare che i rapporti vanno sempre bene, come ne han già dato prova i cinque incontri bilaterali avvenuti in due anni tra il premier italiano Matteo Renzi e il Primo ministro giapponese Shinzo Abe. Le eccellenze artistiche fanno parte tanto dell’Italia quanto del Giappone e così, mentre al Tokyo Metropolitan Art Museum si tiene una grande mostra di Botticelli, noi avremo un fitto programma di appuntamenti artistici: più di 80 mostre e eventi realizzati con partner come Mondomostre, Skira, Japan Foundation – Istituto Giapponese di Cultura di Roma, Maxxi, Fondazione Italia-Giappone e altri.

Il calendario è in continuo aggiornamento.

Si prevedono spettacoli teatrali, concerti, danza, rassegne cinematografiche, senza dimenticare architettura e design, letteratura, tecnologia e fumetto. Proprio quest’ultimo sarà protagonista di una piccola mostra itinerante della Japan Foundation: l’esposizione debutterà il 5 febbraio proprio a Roma, presso la sede dell’Istituto Giapponese di Cultura (fondato nel 1962), e si focalizzerà sullo Hokusai manga, genere diverso dal fumetto contemporaneo come si vedrà attraverso pannelli, stampe, libri illustrati d’epoca, tavole e altro. A fine maggio, all’Ara Pacis, sarà la volta della fotografia, con una retrospettiva del realista Domon Ken (1909-1990), di cui sono famosi  i ritratti di bambini sorridenti scattati durante la guerra. “Tutti gli scatti esposti arriveranno dal museo di Sakata, città natale del fotografo”, ha anticipato Rossella Menegazzo, esperta di storia dell’arte est-asiatica che cura la mostra. In piena estate, a luglio, sarà la volta della scultura, in particolare di quella buddhista, che avrà il suo posto di rilievo alle Scuderie del Quirinale di Roma. Dopo l’estate, invece, toccherà a Milano, dove, a Palazzo Reale, inaugurerà, nel mese di settembre, l’esposizione su Hokusai, Hiroshige e Utamaro che porterà per la prima volta in Italia la rara collezione di stampe proveniente dal Museum of Art di Honolulu.

Al Maxxi, inoltre, dal prossimo mese di ottobre, si scoprirà con una mostra “L’Architettura residenziale del Giappone Contemporaneo”. L’architettura e il design nipponico saranno protagonisti anche prima: ad aprile, sia con il Salone del Mobile di Milano che alla Triennale, con la presenza di Hara Kenya e, a maggio, durante la Biennale di Architettura di Venezia con un padiglione il cui tema sarà “En: beyond sharing”, un focus con 4 ottiche diverse di prassi architettoniche delle giovani generazioni, mentre, a Roma, si potrà ammirare un’illuminazione realizzata da due famose artiste della luce: sono madre e figlia, Motoko e Akari Lisa Ishii, e daranno un nuovo aspetto alle antiche vestigia del Colosseo.

La crescita delle “Private Label”

Nella grande distribuzione organizzata, i prodotti a marca del distributore conquistano sempre più spazio sugli scaffali, riempiono il carrello della spesa ed insidiano il potere dei grandi brand. Il volume d’affari del private label ha raggiunto i 9,5 miliardi in rapporto ai 52 miliardi circa del largo consumo confezionato (il totale, compreso il “fresco” raggiunge i 114,1 miliardi), pari al 18,3% del segmento. I dati provengono da Federdistribuzione e da Adem Lab, osservatorio dell’Università di Parma. È infatti firmata dall’ateneo emiliano la ricerca che viene presentata oggi, nei padiglioni di Bologna Fiere, in occasione dell’inaugurazione di Marca, la manifestazione dedicata ai prodotti a marca del distributore promossa dal gruppo fieristico bolognese insieme ad Adm, associazione della distribuzione moderna. . L’incremento degli espositori e delle aziende produttrici, confermano il cambiamento in atto in un sistema costituito da oltre 27mila punti vendita tra supermercati, ipermercati e discount e controllato in larga parte da catene a capitale italiano. «La marca del distributore si sta riposizionando al livello dei grandi brand industriali. Si sta manifestando un disinvestimento sul prodotto di primo prezzo a favore di uno spostamento verso una fascia di mercato più alta. La convenienza resta un elemento fondamentale ma il consumatore ora chiede anche altre cose, a partire da trasparenza e tracciabilità. Riconosce non solo il fattore convenienza ma anche il valore del prodotto specifico in sé e di quello di una garanzia di maggiori informazioni», dice Massimo Viviani, consigliere delegato di Adm. Non è un caso che l’anno scorso siano state proprio le vendite dei prodotti di fascia più alta – il segmento cosiddetto Premium – e di quelli biologici a fare il grande salto. Nel primo caso con un incremento in valore superiore al 13%, nel secondo con un balzo dell’11%. Una trasformazione con un effetto diretto sulle imprese che forniscono le grandi insegne e che sono costituite nella stragrande maggioranza (parliamo di circa il 77%) da piccole e medie aziende. L’80% dei contratti stipulati dai colossi della distribuzione con i produttori hanno una durata superiore ai quattro anni, con i fornitori di oltre otto. “Le insegne chiedono efficienza – spiega Viviani – ma la durata dei contratti consente alle imprese di pianificare investimenti, con ricadute economiche e sociali sui territori in cui operano e con la valorizzazione di produzioni locali e a chilometro zero”. Certo, la quota di mercato conquistata dal private label in Italia appare ancora lontana dal 45% del Regno Unito o dal 30% circa di Paesi come Francia e Germania. Ma molti big della distribuzione in Italia sono in piena corsa, con quote dei prodotti a marca del distributore, sul totale, che superano il 25 per cento.

Alla manifestazione Marca partecipano colossi nazionali e stranieri come Coop, Metro, Auchan, Carrefour, Sigma, Conad.

DINAMICHE DI SETTORE

 

GRANDE DISTRIBUZIONE ORGANIZZATA IN ITALIA (settore alimentare confezionato – Dati in €uro)

Fonte: Federdistribuzione

I NUMERI:

  • Volume d’affari: 52 miliardi
  • Prodotti a marca del distributore e quota sul totale: 9,5 mld (18,3%)
  • Punti vendita: 27.668
  • Catene distributive a capitale italiano: 80,3%
  • Il 91,5% dei fornitori dei prodotti a marca del distributore sono imprese italiano delle quali oltre il 77% costituite da PMI

I prodotti private label sono tutti quei prodotti forniti da società terze ma venduti con il marchio della società distributrice. Secondo l’analisi di Federdistribuzione e Adem Lab, in Italia il volume d’affari di questo mercato ha raggiunto i 9,5 miliardi in rapporto ai 52 miliardi di tutto il comparto del largo consumo confezionato.

L’Italia, con un volume di affari del 18,3% per il private label, si sta avvicinando agli standard europei dove la domanda dei prodotti a marca del distributore è più elevata: l’Inghilterra arriva al 45% mentre Francia e Germania arrivano al 30%.

 

Ultimo Decreto Legislativo sull’Internazionalizzazione

Approda nella Gazzetta delle leggi il decreto legislativo 14.09.2015, n. 147 recante misure per la crescita e l’internazionalizzazione delle imprese (G.U. n. 220 del 22.09.2015 ). Il decreto, in vigore dal 7 ottobre 2015, attua le disposizioni della legge di delega fiscale – legge 11.03.2014, n. 23 – contenute principalmente nell’art. 12, inerenti ai profili di certezza per la determinazione del reddito e della produzione netta delle basi imponibili di imposte sul reddito e Irap, allo scopo di favorire l’internazionalizzazione degli operatori economici. Attraverso 17 articoli il D.Lgs. n. 147/2015 introduce un sistema di tassazione delle attività transnazionali basato su adeguati meccanismi di stima delle quote di attività imputabili alla competenza fiscale nazionale.
Il decreto rivede il trattamento dei dividendi provenienti da soggetti residenti in Stati o territori a regime fiscale privilegiato nonché gli interessi passivi di cui all’art. 96 Tuir, con un correttivo che elimina l’ingiusta penalizzazione degli investimenti in società controllate estere rispetto a quelli in società italiane; il trattamento dei costi black list e di valore normale perde talune conseguenze eccessivamente penalizzanti per il contribuente. La disciplina del reddito delle società e degli enti commerciali non residenti fa riferimento, d’ora in poi, ai nuovi artt. 151-152 Tuir, mentre in caso di trasferimento all’estero è prevista la posticipazione della riscossione della tassazione fino al momento dell’effettivo realizzo.
In tema di procedure concorsuali e accordi di ristrutturazione, il decreto chiarisce che anche le perdite su crediti conseguenti all’esecuzione di piani di risanamento attestati da professionisti indipendenti e qualificati sono automaticamente deducibili a decorrere dalla data di iscrizione nel registro delle imprese. Le nuove norme introducono per le imprese ad elevata vocazione internazionale il principio della branch exemption, che comporta l’esenzione degli utili e delle perdite attribuibili a tutte le proprie stabili organizzazioni all’estero attraverso l’esercizio di un’opzione irrevocabile, secondo i criteri dettati dall’art. 165 Tuir. Infine, è esteso a tutti i contribuenti, e non più solo ai soggetti passivi imprenditori, il regime di detraibilità “per competenza” delle eccedenze dei crediti d’imposta per i redditi prodotti all’estero eliminando le disparità di trattamento proprie della normativa tributaria italiana.

Il Giappone non è in recessione ma in crescita !

La revisione del Prodotto interno lordo del terzo trimestre ha indicato che le stime preliminari di una contrazione annualizzata dello 0,8% erano clamorosamente errate: il Pil e’ cresciuto a un tasso annualizzato dell’1% (+0,3% sul trimestre precedente), dopo un arretramento rivisto a -0,5% nel secondo trimestre. La lettura migliorativa e’ risultata piu’ favorevole delle attese ed e’ dovuta in particolare all’andamento favorevole degli investimenti di capitale delle imprese (+0,6% rispetto al dato iniziale di -1,3%), le quali hanno anche aggiustato le scorte in modo meno radicale di quanto stimato prima.

La terza economia mondiale e’ dunque tornata su una leggera traiettoria espansiva e l’Abenomics evita quella che sarebbe stata la sua seconda recessione (dopo quella dell’anno scorso, determinata dal calo dei consumi seguito al rialzo dell’Iva dal 5 all’8%). Il trimestre in corso si profila anch’esso in moderata espansione.

Ad ogni modo, il governo e’ intenzionato a confermare l’introduzione di una nuova manovra di stimoli fiscali all’economia, nell’ordine di oltre 3.000 miliardi di yen (circa 25 miliardi di dollari), finalizzata in particolare a sostenere le fasce deboli della popolazione e il settore dell’agricoltura (che subira’ forti pressioni competitive con il futuro decollo della Trans-Pacific Partnership e il conseguenze aumento delle importazioni agroalimentari grazie a dazi piu’ bassi). Del resto, e’ interesse del premier Shinzo Abe attutire la diffusa sensazione che le sue politiche favoriscano soprattutto i ricchi e le grandi imprese (l’anno prossimo si tengono le elezioni per il rinnovo parziale della Camera Alta).

L’aumento oltre le attese degli introiti fiscali consentira’ di finanziare il budget supplementare senza ricorrere all’emissione addizionale di titoli di Stato. Abe spera anche che, nel corso delle tradizionali tornate negoziali di primavera, le imprese alzino i salari dei lavoratori perche’ sia data una spinta ai consumi.

L’EXPORT RIPARTE !!

Dopo tre mesi di flessione a settembre riparte l’export, soprattutto grazie ai mercati extra europei, alle vendite di auto e di prodotti farmaceutici. Si rafforza anche il surplus della nostra bilancia commerciale, che sale a 2,2 miliardi di euro (contro il +1,9 del settembre 2014).

In base agli ultimi dati Istat a settembre le esportazioni sono infatti salite dell’1,6% mentre le importazioni sono cresciute dell’1,1%. La crescita congiunturale, in linea con l’incremento dei livelli di attività (+0,2% la variazione mensile della produzione industriale), «è imputabile all’aumento delle vendite verso i mercati extra Ue (+5,2%), mentre verso l’area Ue si registra una contenuta flessione (-1,1%)».

L’incremento congiunturale dell’import interessa entrambe le aree di interscambio (+1,3% per l’extra Ue e +0,9% per l’Ue) ed è particolarmente accentuato per l’energia (+3,8%) e i beni strumentali (+1,6%) segnala l’Istat.

Nonostante il recupero registrato a settembre, nel terzo trimestre 2015 la diminuzione congiunturale dell’export resta però rilevante (-2,3%): gli effetti si sono fatti sentire anche sulle stime del Pil del terzo trimestre cresciuto come è noto appena dello 0,2 proprio a causa della frenata dell’interscambio con l’estero.

La frenata interessa tutti i principali raggruppamenti di prodotti ed è più marcata per l’area extra Ue (-4,2%) rispetto a quella Ue (-0,7%). Nello stesso periodo, si registra una contenuta riduzione della competitività dell’Italiarispetto ai principali partner europei: la quota nazionale sull’export dell’area dell’Unione monetaria è in lieve diminuzione (-0,3 punti percentuali) rispetto al trimestre precedente, mentre è invariata per lo stesso trimestre del 2014.

A settembre 2015 i mercati dove il nostro export è cresciuto di più sono ancora gli Stati Uniti (+18,4%), seguito da Belgio (+16,1%), Spagna (+12,2%) e Polonia (+11,6%). In “rilevante espansione” le vendite di autoveicoli (+30,4%), di articoli sportivi, giochi, strumenti musicali, preziosi, strumenti medici (+8,7%) e di computer, apparecchi elettronici e ottici (+8,6%). In particolare, un forte stimolo alla crescita dell’export proviene dalle vendite di articoli farmaceutici in Belgio e di autoveicoli negli Stati Uniti. E’ la riconferma del grande successo dell’operazione Jeep-Fca.

 

PATTINAGGIO ARTISTICO: LUCREZIA BECCARI VINCE LA GARA NAZIONALE ELITE DI BOLZANO

La bravissima Lucrezia Beccari ha vinto l’ultima gara Nazionale Elite di pattinaggio artistico a Bolzano !

Examarketing è felice di sostenere le giovani promesse !!

 

TTIP NUOVO ROUND DI COLLOQUI PER IL TRATTATO COMMERCIALE USA-UE

Ripartono le negoziazioni tra gli emissari di Europa e Stati Uniti sul trattato commerciale che dovrebbe avvicinare le due sponde dell’Atlantico,  è il penultimo appuntamento dell’anno. Il trattato, che trova fortissimi movimenti di opposizione dovrebbe ridurre o addirittura eliminare le barriere commerciali (dai dazi alla regolamentazione) che si frappongono agli scambi tra Usa e Ue, dando spinta allo sviluppo economico. I negoziati sono stati avviati nel 2013, ma restano ancora molti i nodi da chiarire.

Gli Usa si presentano a questo round forti dell’aver siglato un trattato analogo, ma sull’area del Pacifico. Un documento che ha messo a fattor comune il 40% del Pil mondiale e che – per Washington – deve fare da base anche per il trattato con la Ue. Al di là dei contenuti, il problema centrale sollevato da più parti (anche e soprattutto in Francia) è che un trattato di simile importanza viene circondato da un alone di opacità e di diffidenza tra le due parti al tavolo delle trattative e anche tra loro e le rispettive opinioni pubbliche, che sono poco informate sugli sviluppi della questione. Tra i punti di maggior distacco, come è emerso in una serie di incontri a Bruxelles, è ultimamente diventato un vero e proprio pomo della discordia l’introduzione di una clausola di protezione degli investimenti – delle multinazionali -, che scatterebbe qualora gli Stati modifichino le loro regole, peggiorando il quadro normativo (per le aziende) di riferimento. La Commissione Ue vorrebbe affidare il giudizio a magistrati terzi. Ancora, tema di forte distanza è quello degli Ogm.

Certo che il recente scandalo Volkswagen non ha aiutato a distendere le relazioni tra le due parti dell’Atlantico. L’undicesimo round di incontri dovrà affrontare un altra questione delicata, quella dell’accesso agli appalti pubblici americani da parte delle aziende europee, visto che diverse leggi a stelle e strisce limitano alle aziende di casa questo bacino di lavori. Tutte questioni che superano per osticità la tematica base tariffaria: i dazi doganali in media non superano il 4% e il loro superamento (ma anche il loro mantenimento a livelli così bassi) pare esser l’ultimo dei problemi.

Sulla delegazione Usa incombe la corsa alla Casa Bianca: Hillary Clinton ha già espresso contrarietà al trattato sul Pacifico. Anche in Italia, il trattato ha fatto molto discutere. Ultimo in ordine di tempo a pronunciarsi sulla questione è stato Beppe Grillo: il leader ha schierato il partito sul “no” al trattato, contro il quale da tempo i suoi eurodeputati si battono.

IN PROGRAMMA LA CONTROMOSSA CINESE ALL’ACCORDO DI LIBERO SCAMBIO TRA USA E PACIFICO

Quando il 5 ottobre i media internazionali hanno annunciato il varo della Trans-Pacific Partnership (Tpp) ad Atlanta, il ministero del Commercio di Pechino pubblica un comunicato con cui definisce l’intesa “uno dei principali accordi di libero scambio per la regione dell’Asia-Pacifico”, aggiungendo che “la Cina è aperta a qualsiasi meccanismo che segua le regole dellOrganizzazione mondiale del commercio e possa aumentare l’integrazione economica nell’area”. Segno che la Cina si aspetta, prima o poi, di essere tirata dentro al patto tra i 12 Paesi che in totale rappresentano il 40% dell’economia mondiale.

Il problema è che l’accordo Tpp nasce come antifunzione cinese, e la Cina non è ben voluta all’interno del trattato.

All’Apec di Pechino del 2014, tuttavia,  la Cina aveva risposto con la proposta di un’area di libero scambio più inclusiva, che comprendesse anche se stessa e la Russia, incassando il sì di tutti, tranne gli Stati Uniti. Ma da allora non se ne è più sentito parlare. Pechino si è poi sempre più focalizzata sul progetto di “Via della Seta, con la neonata Banca asiatica degli Investimenti e delle Infrastrutture a fare da volano economico. Un istituto finanziario in cui, non ci sono Stati Uniti e Giappone, ma per scelta loro non per ostracismo cinese.

Al netto degli iniziali convenevoli diplomatici, la Cina starebbe ora preparando le contromosse al Tpp in grado di cambiare il contesto economico in Asia-Pacifico. A Pechino e dintorni è infatti opinione piuttosto diffusa che gli Stati Uniti stiano cercando di contenere l’ascesa cinese sia dal punto di vista politico sia da quello economico, laddove i due aspetti si compenetrano totalmente.

Eliminando circa 18mila tariffe doganali, il Tpp rischia di spostare nuovamente la catena delle forniture attraverso la più vasta area economica del mondo. La Cina, già afflitta dal rallentamento della sua economia, teme di vedersi strappare troppo presto il ruolo di fabbrica del mondo e di perdere competitività . Così le autorità cinesi spingeranno sempre più sui trattati bilaterali di libero scambio con singoli Paesi. Una strategia tradizionale per la Cina, che nei suoi accordi “uno-a-uno” cerca anche di emanciparsi dal dollaro.

Ci sarebbe poi in programma un accordo trilaterale di libero scambio con Giappone e Corea del Sud.

Infine, Pechino cerca di accelerare il cosiddetto Partenariato economico globale regionale (Rcep), i cui negoziati dovrebbero fare progressi durante un summit in Corea del Sud, previsto dal 12 al 16 ottobre. Ne sono coinvolti i 10 membri dell’ Asean più Australia, India, Giappone, Corea del Sud, Nuova Zelanda

In un recente articolo, Yukon Huang, ex direttore della Banca Mondiale per la Cina, ha azzardato che Pechino, per ottenere il duplice scopo di internazionalizzare la propria moneta e non attirare instabilità economica, potrebbe fare dello yuan una “valuta regionale” che gradualmente si sgancerà dal dollaro senza rischiare una volatilità internazionale.

Niente accordi eccessivamente estesi nello spazio – niente Ttp made in China – ma proprio una strategia a cerchi concentrici e una moneta cinese che, al pari del commercio, si protende all’esterno con gradualità, fino a costituire un nuovo sistema di Stati tributari, riaggiornato al ventunesimo secolo.

Forse, le felicitazioni rivolte agli Stati Uniti per il Tpp non sono in fondo un masticare amaro ma un mandare avanti gli altri mentre si procede a piccoli passi.

LA FRANCIA AMMETTE IL SORPASSO: L’ITALIA è IL PRIMO PRODUTTORE DI VINO AL MONDO

Per i francesi è un duro, doppio, colpo. In primis a il riconoscimento attraverso il premio internazionale “Sparkling Wine Producer of the Year”, assegnato alle Cantine Ferrari, che le migliori bollicine al mondo sono italiane; e l’annuncio – arrivato direttamente da Parigi – che l’Italia torna, nel 2015, ad essere il primo produttore di vino al mondo. Scavalcando proprio la Francia che al secondo posto precede, sul gradino più basso del podio, la Spagna.

L’Italia – commenta il ministro delle Politiche agricole Maurizio Martina – si conferma la patria del vino, tornando ad essere leader anche nella produzione. Abbiamo una ricchezza straordinaria con oltre 500 vitigni coltivati e vogliamo valorizzare ancora di più il grande lavoro fatto dalle nostre aziende in questi anni. Per questo a Expo abbiamo dedicato al vino italiano un padiglione che ha mostrato a più di un milione e mezzo di visitatori la forza, la storia e il futuro di questo settore. Siamo pronti a sostenere con ancora più determinazione l’export che ormai supera stabilmente i 5 miliardi di euro all’anno”.

Per stilare la nuova classifica i francesi hanno utilizzato le stime pubblicate a fine settembre da Bruxelles in base alle autodichirazioni degli Stati membri:

– l’Italia avrebbe raccolto 48,8 milioni d’ettolitri di vino,

-la Francia 46,45 milioni e la Spagna 36,6 milioni.

Più staccate Germania e Portogallo.

Non è una novità che il primo posto sia ogni anno una partita che si gioca sul filo di lana a cavallo delle Alpi, ma a condizionare il risultato è sempre il tempo. Basti pensare che la produzione d’uva in Italia è cresciuta quest’anno del 13%, mentre l clima secco ha ridotto dell’1% quella francese. Di più, la vendemmia, si preannuncia di ottima qualità anche se la Francia resta il campione del mondo nella valorizzazione dei propri prodotti.